Forse perché aveva un debole per la disinibizione
o forse perché in parte era italiano,
morale della storia, Lud sapeva
di dover vedere Becky coi suoi occhi
prima di fare un qualsiasi altro passo
nei suoi studi umanistici. Lei veniva
di certo da una di quelle famiglie di cervelloni
medio-altoborghesi dei sobborghi
nelle quali le più alte fantasie
del sogno americano si realizzano
in un silenzio rotto solamente
dalla musica classica e dal suono
delle lavatrici: comunque, sorprendente
non era tanto il fatto che prendeva
la pillola da quando aveva quattordici anni,
ma che a venti succhiasse ancora il pollice.
Mentre una delle mani era occupata
ad allattare la pupa a mo’ di tetta,
altrettanto facilmente l’altra si posava
sulla fodera, brandiva carta e penna
e realizzava delle gesta logiche. Dei loro discorsi,
quello che torna in mente è questo brano.
Il nostro amico (insistendo sul solo
metodo di approccio conosciuto, dal quale,
bene o male, non riusciva mai a staccarsi):
“Sì, ma allora la filosofia?! E Platone?!”
“Platone non è male, ma non è da sballo.”
“E allora, cos’è ‘da sballo’ secondo te?!!”
“Una bella storia può essere da sballo.”
Benché lui non fosse d’accordo,
quelle risposte ben s’accordavano ai suoi gusti
e lasciavano la sua bocca più chiusa che aperta.
Chi aveva mai sentito un vernacolo
così squisitamente filosofico,
tranne forse, ai bei tempi di Bloomsbury,
quei pochi fortunati che lo avevano
appreso dritto dritto da Wittgenstein?
Mi soffermerò in questi circoli giusto il tempo
per aggiungere che Becky uguagliava
persino Sraffa in termini di sapienza
quando faceva le fiche a qualcuno.1
Cosa imparò, mi chiedo, Lud da lei?
Credo fosse qualcosa che lui già aveva intuito,
ma che altrimenti forse non avrebbe mai accettato:
da questo passerotto padrone dei cieli,
che non poteva essere fermato da qualsiasi
grado di adorazione, imparò che era pesante
e che non aveva altra scelta che scoprire
come non esserlo o morire. Se alla fine
ci riuscì, il resto della storia, spero,
aiuterà a far decidere le signore.
Piero Sraffa, in riferimento all’episodio in cui “fece le fiche” a Wittgenstein come esempio di proposizione irriducibile a forma logica. ↩