Nail Chiodo

Lucus Feroniae

Canto VIII

Traduzione dall’originale inglese.

“… Una volta, con mia meraviglia, vidi uscire
dal corpo d’una donna che condivideva il mio letto
un dèmone che non poté sopportare la risoluta
pazienza e gentilezza con cui stavo affrontando
il cronico stato di collera in cui l’avevo trovata.
Sono restio a pensare che fosse una cecità mentale
a impedirle di accorgersi della chimera
provvista di corna che le sfuggiva dal petto:
nessuna macchina fotografica avrebbe potuto
registrare l’immagine che io riconobbi
come incarnazione della rabbia, e anch’io,
a dir poco, stentai a credere al mostro
che senza volere avevo esorcizzato; eppure è certo
– com’è certo che le sfuggì un gran sospiro di sollievo –
che almeno io ne vidi chiaramente il perché!

In un’altra occasione, una personificazione dell’accidia,
più orrenda di quella che avrebbe potuto concepire
la più sfrenata immaginazione, apparve innanzi a me
come su un palcoscenico, per mio privato scrutinio
e con mia assoluta sorpresa: una vecchiaccia
dalla mascella quadrata, cenciosa, scarmigliata,
un autentico ritratto di Acedia nelle dimore infernali;
gibbosamente sedeva su uno sgabello,
sbraitando e lamentando una debolezza cronica,
e ripetendo senza posa il suo eterno rifiuto
a fare alcunché, e persino a muoversi.
L’impresario senza volto che aveva allestito lo spettacolo
doveva aver stabilito che non avrei negato
né messo in dubbio la realtà della mia visione,
poiché d’improvviso verdi fasci di luce
guizzarono fuori dai miei occhi e andarono a finire
proprio su quella penosa figura, cosicché potesse restare
conficcata nella mia coscienza per il resto dei giorni.

Quella deità – o comunque vogliate chiamare
la soverchiante entità che nel cervello
presiede a siffatte attività paranormali –
fa della responsabilità morale un marchio d’identità.
Fu Cristo in persona, secondo Swedenborg,
a dirgli di star lontano dal buffet e d’inaugurare
la sua stagione di profezie innumerevoli.
Anche se la mia credibilità verrà messa in dubbio
dagli atei che finora mi hanno ascoltato,
forse anch’io devo sostenere d’aver visto
Nostro Signore, sia pure di profilo e controluce.
Alto, dritto, sottile, naso adunco e lungo mantello,
Egli additava un segno rotondo – al suolo,
accanto ai Suoi piedi – (non diverso da quei punti
di San Pietro ove le colonnate di Bernini
s’irradiano e congiungono) mentre giungevano a me,
come telepaticamente, queste parole:
«Questo è il luogo da cui sembra triste ogni cosa».
La mia prima, istintiva reazione
fu quella d’indietreggiare, allontanarmi
dal centro nervoso di quella tristezza;
in un attimo fui di nuovo nella mia stanza,
al sicuro, e solo, se si eccettua la pulce
che mi era stata messa nell’orecchio.

C’era nell’aspetto dell’Ombra qualcosa d’incomparabile
che m’indusse a credere che proprio Lui avevo veduto,
così com’era dotata di un’autorità senza pari la frase proferita;
il tratto aquilino mi fece tornare in mente
il progenitore di tutti i poeti visionari,
ma nel mio cuore non trovai un solo motivo
per dubitare che si trattasse di Cristo.
Analogamente, quando infine diedi una svolta
alla mia vita, e tornai sui miei passi
verso quel polo dello sgomento, scoprii
che mi si era rivelato né più né meno
che il genere umano era incagliato, per così dire
morto stecchito, e io ero l’unico testimone vivente
della funesta fine della sua storia; in quell’occasione,
era Suo il corpo che tenni tra le braccia.

Ancora un episodio, e avrò completato
il mio inventario dell’aldilà così com’è adesso:
una volta, trovandomi a raccogliere i cocci
dell’ennesima speranza andata in frantumi,
percepii la pittura di Van Gogh come mai prima d’allora
e come mai più; la compassione ivi criptata
mi fece trasalire e intuire, per un istante,
quel che secondo me chiunque potrebbe vedere
quando infine incontrasse il suo Creatore.
Può sembrare tempesta in un bicchiere d’acqua,
se paragonato ai venerabili archetipi di questa storia,
poiché non riguarda che una sola comparsa,
che si trovò per pochi attimi sotto i riflettori;
eppure, la fugace apparizione bastò a confermarmi
talune fondamentali convinzioni riguardo alla mia psiche.
La figura – solitaria e senza altre costrizioni
che una veste bianca e una maschera da tragedia greca –
sta innanzi, improvvisa, da dietro una mutevole cortina
di nuvole, precisamente cumuli; ne esce un inaudito grido
(di cui afferro quel che sembra solo l’inizio)
che va ben oltre ciò che orecchie d’uomo possono sentire.
Oltre i limiti delle prospettive terrene per tono e volume
del suono, trasforma ogni struttura corporea in friabile,
del tutto dissolubile sostanza, annientata
in fulminei secondi dal furioso vento da lui generato,
mentre la mente intuisce tutto l’orrore e l’agonia
di cui è stracolmo. L’abominio che è stato represso
sin dall’immemorabile origine del sentimento morale
investe in egual misura tutti coloro che gli stan dinanzi,
riducendoli a mucchietti di ricotta prima che possano
cadere in ginocchio. Se ho ragione, le previsioni
non sono proprio floride; ma per tutti coloro
a cui l’ostentazione procurò disgusto,
l’unica consolazione sarà che la voce è Giusta.

Eilà? Scotty? Mi ascolti?!”

Canto IX