Nail Chiodo

Lucus Feroniae

Canto VI

Traduzione dall’originale inglese.

Del pentacolo originale della nostra sezione aurea
che qui sto abbozzando, un vertice soltanto, ossia
Scott, ha avuto discendenza—cosa ancor più strana
se si considera che è il solo le cui preferenze
sessuali coincidano con il suo stesso sesso.
Noi tutti abbiamo avuto per il sesso
una profonda venerazione, le grinze e le rughe
sul nostro viso lo dimostrano; e, com’è normale,
certo a noi tutti sarebbe piaciuto avere,
col favore della sorte, bambini che si potessero dire
nostri in senso biologico—ma soltanto
in omaggio al rettilineo, per così dire,
non avendo neanche lontanamente un pregiudizio
verso le curve. Farsi un nucleo famigliare
sembrava una giusta ambizione, pure si giudicava
un modo altrettanto adeguato per ottenerlo,
benché più indiretto, adottare bambini; per di più,
aveva il nobile merito di non contribuire
a un ulteriore incremento della già ipertrofica
popolazione mondiale e, al contempo,
di dare una casa a chi altrimenti
avrebbe potuto esserne privo.

Tom, come abbiamo visto, può ben dire
d’aver fatto quel che le nostre teorie esigevano
(e, si potrebbe aggiungere, di averne dimostrato
la validità). Ma la sorte ha impedito anche a lui
di farsi padre quand’era ancora nel fiore degli anni,
prendendo la dritta via per la riproduzione,
docile ai costrittivi concertati sforzi di madre natura
e madama società. Ci si potrebbe azzardare a dire
che crescemmo con la certezza che disporre
anche solo della metà dei nostri geni
sarebbe stato un bel fardello, pari
alla sorte del nostro prossimo (uomo
o donna che sia), e che il corso degli eventi
c’impedì di dar luogo alla nostra reincarnazione
o di accumulare peccati originali—a noi tutti,
tranne a quell’esperimento vivente che si chiama Scott.

A lui devo invece la persistente sensazione
– che s’introdusse in me per la prima volta
quando, per divagarci, eravamo soliti guidare
fino a remoti centri commerciali dei suburbi,
per convivi fino alle ore piccole,
con sandwich e birra, un pacchetto di sigarette
e uno di gomme – che ogni cosa è spiegabile
se suscettibile di spiegazione, e che c’è
un ordine universale per le parole, non solo
per le cose, entro il quale la critica sociale e “letteraria”
di due neofiti come noi si poneva al centro della scena.
Era una sensazione che scaturì dal pensiero
che aveva preso e sostenuto per la prima volta
il ritmo prosimetro della conversazione, analogo
a quella beata sensazione di cavalcare il dragone
che si prova quando il regno della natura
risponde a incerti approcci, spingendo innanzi
qualcuno quasi avesse le ali in guisa d’atleta,
capitano al timone, artista, scienziato, filosofo,
uno che, guidato da uno spirito animale,
ara la terra o il corpo di un’amante.

Né l’uno né l’altro di noi era già stato davvero ferito,
ed entrambi affidavamo la speranza di non esserlo mai
al supremo ideale che avremmo potuto raggiungere
con un audace balzo dell’immaginazione.
Così Scott ha fatto la sua scommessa
che la società sarebbe stata indotta a ripudiare
ogni scorrettezza politica, anche grazie
ai suoi instancabili sforzi per promuovere
terapie di gruppo, corsi di sostegno, consultori vari
e psicoanalisi. Mi lusingava essere suo amico intimo,
tale dedizione agli altri mi sembrava uno scoop
degno del miglior giornalismo, se non della letteratura:
anch’io programmavo di distruggere il mio mondo
in miniatura, ma – non essendo ancora stato punto
dallo scorpione della politica – continuavo
a vivere del tutto entro la repubblica delle idee,
ove si può essere spinti nel folto della mischia
mentre si esegue una scala alla fisarmonica.

Ho passato gran parte della vita
a tener conto dei brutti pensieri d’ogni tipo
che mi venivano in mente di loro iniziativa,
senza che potessi fare alcunché per contrastarne
la vile intrusione, a parte prenderne nota
con disgusto e andare avanti. Ogni giorno
ce n’erano di nuovi, senza contare le recrudescenze,
che classificavo a seconda del tipo: vili, perversi,
assurdi—se si fossero insinuati inavvertitamente
in me, senza rendermene conto sarei potuto diventare
un essere spregevole di proporzioni non comuni.
Invece, sono diventato un involontario esperto
delle più oscure forme del vizio sulla Terra,
fino a credere – c’è forse motivo di nasconderlo? –
che il pianeta sarebbe stato un posto
metafisicamente più sicuro
una volta che me ne fossi andato:
un altro bizzarro membro della razza, potreste dire,
che avrebbe fatto meglio a fare l’idraulico.

Ricordo che l’insistenza di Scott
sulla fondamentale importanza d’introdurre nel gergo
certi termini invece d’altri (per non offendere
la sensibilità d’un numero crescente di gruppo etnici
e sociali che rivendicavano diritti nella lingua comune)
provocò non poche, infondate e non volute
demoniache parodie, andate in scena nella mia coscienza.
Tuttavia, il rispetto per il mio subconscio
mi fa dire che si trattava di cose meno sfavorevoli
della fanatica versione del senso comune
promulgata da taluni linguistici inquisitori.
Infatti, come immaginare un ambiente
più inquietante e costrittivo di quello
definito dagli sfinteri di qualcuno
che concepisce “la mia importante metà”
come un miglioramento di “caro” o “amore”,
o degli innumerevoli altri nomi per lui o per lei
con cui, nella lingua nota come inglese,
quaranta generazioni di appassionati parlanti
hanno invocato il loro detestato compagno di cella
o l’amato carceriere? Niente, la privazione
sensuale ed emotiva dell’Uomo postindustriale
è tanto patetica quanto ineluttabile; fortunati
coloro che possono ancora godere
di qualche importante cagata.

Se ora dovessi distendermi
sul lettino da analisi di Scott, incoraggiato
ad aprire il mio cuore e liberarmi d’ogni cosa,
e riprendere le nostre vecchie conversazioni
dal punto in cui furono sospese, quasi quarant’anni fa,
quando cominciò la nostra vita di adulti,
il mio impulso sarebbe quello di tentare di ricapitolare
i risultati dei miei successivi travagli,
distillare il paludoso scoraggiamento
nelle cui infide profondità sono stato attratto
pari passu con il declino della speranza
che il mondo sarebbe migliorato.

“Il sentimento di compassione che t’ha indotto
a difendere gli oppressi”, gli direi, “è lo stesso
che la saggezza tradizionale ha suscitato in me.
Ricucire con essa logori legami è stato per me –
e non solo per me – il dovere supremo, anche se
forse io – noi – non abbiamo mai immaginato
che avrebbero finito per esser tanto rari
i cosiddetti letterati, uomini e donne,
che non contribuiscono al problema.
Quanto agli altri, non posso né condannarli
né assolverli; tuttavia, è penoso che più gente
non legga più poesie, a partire dalla Bibbia,
sia pure non disprezzando il sottoscritto.

Sarei il primo a sbeffeggiarmi, qualora
citassi d’un sol fiato la mia opera e le metafore
e i miti fondatori della letteratura occidentale,
se non dovessi togliermi il peso d’una strana storia
che ora vorrei raccontare, pregandoti
di voler essere paziente…”.

Canto VII