Nail Chiodo

Lucus Feroniae

Canto V

Traduzione dall’originale inglese.

Più d’ogni altra cosa, furono le nostre priorità
a servirci per bene, ad aiutarci a soddisfare
– o almeno placare – un bel po’ di desideri.
Conosco ben pochi dettagli delle varie vite
degli altri del mio quintetto, da quando
ci siamo sparpagliati; da quando, dopo il liceo,
prendemmo di gran carriera sentieri distinti:
la sola esperienza che posso esaminare
punto per punto è la mia; ma, in base
a quel che so da loro o intorno a loro,
posso dire che ognuno ha fatto buon uso
della sua estrosa scimitarra, difendendo
nell’oasi qualche sembianza di pace.

Tom ha rifiutato ogni ipocrita impegno
e, come un vero capitano della barca
su cui siam tutti, è diventato un medico
specializzato in medicina del lavoro.
Ha sposato una donna dalle molte, notevoli imprese…
ma, non volendo giocare a fare le sue veci,
citerò parte di una e-mail che mi ha scritto
non molto tempo fa: «Ciao, Luigi,
questa sì che è una sorpresa! Che piacere,
avere tue notizie! Come forse hai immaginato
vedendo il sito web, la mia vita è stata
tutt’altro che “artistica”. Bonnie (mia moglie
da undici anni), che ha dieci anni più di me,
è stata in Ghana nel secondo gruppo
del Corpo della Pace, è andata a Oberlin
per diventare una vera pianista-violinista
(e ha finito per prendere una laurea in chimica),
ha insegnato alla Malcolm X di Chicago
nei tardi anni Sessanta, ha preso un Ph.D.
in ingegneria industriale (con una tesi
sulla politica dell’aborto: faceva parte di “Jane”,
un collettivo femminista che praticava aborti illegali
in assenza di medici, prima del processo Roe
contro Wade), ha insegnato al Georgia Tech
e all’Università del Michigan, ha fatto
molte consulenze internazionali per questioni di salute
delle donne, e ora è una brava tessitrice (e madre).
Abbiamo adottato due bambine (eravamo in sala parto
entrambe le volte): Lucy ha dieci anni, e Lily quattro;
sono piene di energia e hanno una forte personalità.
A parte il lavoro, la mia vita ruota intorno a loro.
Lavoro troppo, però faccio cose svariate e interessanti,
che talvolta sembrano fare realmente la differenza.
Verso la fine degli anni Settanta, ho avuto dei problemi
alla schiena (la cui diagnosi era incerta), ma ora
va meglio: non interferiscono granché con le mie attività
e il mio stile di vita. Nell’anno sabbatico ’93-’94
siamo stati in Sudafrica, e in luglio ci torneremo
per un altro anno: un paese incredibilmente bello,
complesso e affascinante. La scorsa settimana
sono stato a New York, e dopo dodici anni
ho rivisto Kerry: eccentrica e tutta intenta
alle sue cose, e deliziosa come sempre; ha rinunciato
a fare l’architetto per lavorare quasi a tempo pieno
a un complesso progetto artistico
sulla fenomenologia delle origini della prospettiva,
la sua relazione con la preghiera cristiana
e la concettualizzazione del mondo. L’anno scorso
ha fatto una mostra a St. Louis. Non ho contatti
con gli altri che menzioni… Sai come fare
per contattare Fred? Un abbraccio e un ciao. Tom».
Sì, questa è proprio la voce del mio diletto Tom:
posso ancora vederlo come se fosse innanzi a me,
sul punto – cosa tanto semplice e necessaria
quanto insolita per la sollecitudine con cui la fece –
di alzarsi da dov’era seduto per andare a sedersi
accanto a qualcuno bisognoso d’esser consolato.

Anche Fred era svelto, ma più incline
a far pelo e contropelo a chiunque parlasse a vanvera,
per cliché e formule preconfezionate,
standosene sotto qualche ombrello istituzionale,
da dietro una scrivania o dall’alto di un pulpito.
È improbabile che avesse letto molto di Platone,
eppure il metodo socratico era per lui
una seconda natura, e ben presto i colpevoli
si trovavano ad aver la bocca tappata
dalle loro stesse parole. Fu sospeso più volte
dalla scuola, e spesso escluso da certe aule,
e – ogniqualvolta lo misero alla porta –
il mio buffo amico non mancò mai di varcarla carponi.

Abbandonò il liceo prima d’averlo finito
e non andò all’università più rinomata:
al contrario, fu lei ad andare da lui—
in quello stesso anno, la matricola vi studiò
e insegnò matematica. So da fonte sicura
che ha seguito il suo corso l’uomo più ricco del mondo,
e questo l’ha aiutato a diventare più pragmatico.

Il pregiato metodo educativo e filosofico
che aveva preso vita in quelle stesse nobili stanze
esattamente cent’anni prima, enunciato
anzitutto da Charles Sanders Pierce e poi
debitamente ampliato e divulgato da John Dewey
(che, per inciso, morì lo stesso anno in cui
nacque Fred), potrebbe aver avuto la sua apoteosi
proprio in quella sua aula realistica. In seguito,
i riservisti nazionali in ascesa socio-economica
presero d’assalto le torri d’avorio dell’alta cultura
(era il tempo in cui cominciarono a rendersi
tristemente osservabili quei serial parvenus
noti come “Yuppies”); e i veri pragmatisti,
che nella loro mente “in carne ed ossa”
han sempre avuto in dotazione una visione più ampia,
erano inevitabilmente destinati – proprio come Pierce,
generazioni fa – a lasciare la scena
che avevano contribuito ad allestire.

La società non può pagare se non ipocritamente
il debito contratto con le più ardite immaginazioni:
poiché occorre non solo cervello, ma anche cuore
per capire che i più audaci pensieri dell’Uomo
richiedono non solo creatività ma anche il coraggio
di farne uso. Tutti coloro che in verità non hanno
ne l’uno né l’altro, o forse han l’uno ma non l’altro,
devono trarre il meglio da ciò che hanno ricevuto,
e far quadrato per tentare di proteggere le loro cosucce.
Tra loro c’è sempre qualcuno che sa ancora apprezzare
almeno l’una (o l’altra) di queste straordinarie qualità,
ma nessuno che sappia intenderle entrambe.
Inesorabilmente estranea a chi è restio ad ammettere
che ci sia un più ampio scenario, l’audacia
cozza contro il muro delle difese sociali;
se la Sorte non può del tutto evitare
di far fronte alle proprie responsabilità
nello sfacelo inevitabile delle vittime designate,
di solito queste ultime possono sperare d’uscirne
con le ossa rotte, un’esistenza solitaria
e un portafogli quasi vuoto: la storia della vita
di molti uomini di genio in un solo paragrafo.

Non è il caso di parlare del ridere per ultimi
quando si ha a che fare con una sorte infelice
(se non addirittura tragica), ma resta l’intera,
misteriosa altra faccia della storia, che
– si potrebbe esser tentati d’immaginare –
per magia potrebbe semplicemente condannare
tutti gli ipocriti a lavare i piatti eternamente
in paradiso. Questo suggerisco, in luogo d’altre
più plumbee ipotesi, che suppongono invece
vite ultraterrene di psicofisici tormenti o – cosa
del tutto inconcepibile – un insensato nulla,
come un tacchino senza salsa o ripieno,
condizione indistinguibile dal non esser mai nati.
Naturalmente tutto è possibile, ma la mia impressione
è che l’umana esperienza debba assumere
dimensioni sovrumane, in cui il retrocucina
potrebbe ben corrispondere all’ufficio dirigenziale.
Tornerò su questo tema più tardi,
quando sarà l’ora di esplorare il grande cratere
– o l’imbarazzante, pustoloso ostacolo
sulla liscia superficie della nostra cosiddetta
cultura di massa – rappresentato
dal foruncoloso lungometraggio
che Fred ed io abbiamo fatto
insieme con altri tre dei miei fratelli dissidenti,
e che ha preso il titolo di The Insignificant Other.
Per ora, devo tener fede al teso laccio
della nostra estesa comunità, e proseguire
raccontando qualcosa riguardo a Kerry e Scott.

Canto VI