Nail Chiodo

Guerre ludiche

Canto VI

Traduzione dall’originale inglese di Alessandro Gallenzi.

Come una Maria Antonietta offenbachiana
strangolata da malvagi borghesi1
,
una Regina Ginevra di cartapesta
precocemente intrappolata nell’idea
autarchica di una partita a cerchietti
concepita dal proprio folle burattinaio,
Ellanor donna-automa-parola2 inciampò
Negli inghippi dei miti dell’amore cortese.
Di gran lunga, ai suoi tempi, la più ben fatta
cadetta del Rinascimento, corteggiata
da antropologi di grido e agenti introversi
della CIA, vedeva riflesso in Lud
il suo amore per l’arte, e in quest’ultima
un mezzo di salvezza. Tra le ore
sontuose di non so quale duca3

e gli agi ai quali era abituata,
il nostro uccellino maturò,
cacciò le ali, lasciò il proprio nido
e, tónfete, piombò giusto in testa alla madre di Lud.
Unire l’amore per l’arte al gusto per i soldi
è già di per sé il più disumano dei compiti;
che chi vi è votato sopporti anche i “suoceri”
è, chiaramente, chiedere troppo.
Sciolto il fiocco, il nastro prese il volo
secondo i piani quantici del vento.
Lud diventò un seguace di Mao,
Ellanor nel convento vide il suo Tao:
Dio aveva diviso; nessuno poté revocarlo.
Eppure, non sembra che le novelle novizie
implorino solo di essere sculacciate da qualche
Mamma celeste? Se il loro sedere diventa
tutto rosso e il calore si diffonde all’interno,
non faranno lacrimose profferte
e il Figlio non le tapperà in modo fedele?


  1. cfr. Karl Kraus, citato da Roberto Calasso nella sua prefazione all’edizione Adelfi dei Detti e contraddetti (1909).

  2. cfr. Roberto Calasso, prefazione ai Detti e Contraddetti di Kraus.

  3. cfr. Les trés riches heures du Duke de Berry, Castello di Chantilly, Francia.

Canto VII