Una lista di 22 cose che, plausibilmente, la mia poesia ha fatto.
Fare ciò che Nietzsche definì 132 anni fa un’impresa che varrebbe la pena compiere per un grande poeta, e cioè trattare il tema della “noia di Dio dopo il Settimo Giorno della Creazione” (viz. “Guerre ludiche, Canto X”);
Fare ciò che Wittgenstein confessò che gli sarebbe piaciuto ma non era in grado di fare: scrivere di filosofia come si scriverebbe una composizione poetica (viz. “Noncense”);
Fornire una spiegazione plausibile della particolare natura della punizione ultraterrena di Sisifo (viz. “Il Sisifo del mito”);
Fornire un resoconto dei quid pro quo morali degli anni sessanta e settanta negli Stati Uniti che è stato lodato da Rick Perlstein, uno dei più esimi storici americani, come “pieno di affascinanti intuizioni e agili espressioni” (viz. “Il penitenziario”);
Prendere a prestito il verso di Ginsburg “Ho visto le migliori menti della mia generazione” e di usarlo in un contesto aggiornato (viz. “Il penitenziario”);
Descrivere un nuovo approccio al vecchio problema delle “Due Culture” riguardo al quale Northrop Frye ha detto che era lungi dall’ essere insensato e che aveva il merito della leggerezza e al tempo stesso della chiarezza (viz. “Noncense”);
Alludere – in versi! – all’assegnazione del Premio Nobel a Seamus Heaney nove anni prima che l’evento avesse luogo (viz. “Noncense”);
Suggerire che i grattacieli di Manhattan potrebbero fare la fine delle rovine romane e avanzare alcune possibili ragioni sul perché, ben tredici anni prima dell’undici settembre (viz. “Ciò che disse la balena”);
Citare uno dei più rinomati filosofi italiani, che è stato anche il curatore delle edizioni critiche dell’opera omnia di Nietzsche e degli scritti dei filosofi presocratici, Giorgio Colli, il quale è praticamente sconosciuto al pubblico di lingua inglese (viz. “Noncense”);
Informare i lettori riguardo ai solitoni, le onde che spiegano perché vi sia permanenza e continuità nell’Universo, e della curiosa occasione in cui furono osservati per la prima volta (viz. “Guerre ludiche, Canto X”);
Elucidare matematicamente perché il numero 7 sia “magico” (viz. “Guerre ludiche, Canto X”);
Situare teoricamente, e elaborare in modo non-gratuito, i famosi versi di Eliot “In the room the women come and go, / Talking of Michelangelo.” (viz. “Guerre ludiche, Canto XII”);
Fornire una schietta, vivace, approfondita e precisa descrizione di alcune delle implicazioni della Teoria dei Quanti (viz. “Guerre ludiche, Canto XII”);
Fornire elucidazioni riguardo alle implicazioni e meccanismi effettivi della clonazione di esseri umani (viz. “Guerre ludiche, Canto XIII”);
Pubblicizzare il dato econometrico riportato all’inizio di “Lucus Feroniae, Canto I”, basato su autorevoli calcoli che dimostrano che, dall’inizio degli anni sessanta del secolo scorso, la quantità totale di energia impiegata dall’umanità ha superato quella che emana dal Sole verso la Terra (che è all’origine di tutti i cicli vitali): un dato sia largamente sconosciuto che poeticamente significativo, non da ultimo perché permette di arrivare alla conclusione metaforica secondo cui “Ormai, l’Uomo valeva più del Sole”. Ciò dovrebbe essere sufficiente, a mio avviso, per avvertire il lettore che le informazioni in cui si potrà imbattere leggendo i miei versi non solo non sono “cose risapute” ma che possono presentare profonde implicazioni antropologiche. In effetti, la dimensione antropologica costituisce il punto essenziale del mio ragionamento su questi problemi. Verso la fine del Canto II, che segue quello di cui stiamo parlando, ho citato un’interessantissima affermazione che Claude Lévi-Strauss fece verso la fine della sua lunga vita. Dopo aver studiato ogni sorta di comunità umana, dalle più “primitive” alle più “avanzate”, egli dichiarò di poter trarre in piena coscienza UNA sola conclusione, quella secondo cui “nessuna comunità umana può arrivare a contare più di cinquecento membri, senza, in un modo o nell’altro, spaccarsi in due”. Ora, anche questo è un pezzetto di informazione che non rientra fra le cose risapute ma che, se gli si dà credito (e non vedo perché non si dovrebbe), presenta implicazioni di vasta portata. In effetti, le più informate e significative analisi della strettoia ecologica in cui l’umanità si trova (anche queste analisi non sono cose risapute poiché si perdono in un fiume di discorsi insensati – ed è qui che entra in gioco il potere unico della poesia di selezionare e arrivare all’essenziale) concordano nell’indicare che nella futura organizzazione dell’umanità – ammesso che quest’ultima sia destinata a sopravvivere – il “livello locale”, estremamente locale, svolgerà un nuovo, fondamentale ruolo, anche se in un rinnovato contesto “globalizzato”. Anche qui sono riuscito a inserire una preziosissima “chicca” di conoscenza scientifica nel contesto di un poema discorsivo relativamente lungo, perché è organica al corso del pensiero nel suo insieme: in effetti, mi ci sono voluti anni per mettere a fuoco ciò che si avvicinava più al punto della questione e per trovare il modo di metterlo in versi, per inserirlo nella trama generale dei miei vari, correlati componimenti. Il punto è che solo la poesia può rivendicare quella centralità di cui ha goduto sin dall’inizio del discorso umano e affrontare i problemi che oggi ci troviamo di fronte in modo selettivo, veramente sentito e intelligente;
Raccontare, da una prospettiva interamente nuova, qualcosa riguardo alla storia e al significato del pragmatismo (viz. “Lucus Feroniae, Canto V”, la parte concernente “Fred”);
Descrivere un originale approccio kerigmatico/agnostico alla religione cristiana (viz. “Guerre ludiche, Canti VII-VIII”);
Fornire un resoconto sintetico ma puntuale del contributo di Giotto allo sviluppo dell’arte occidentale (viz. “Lucus Feroniae, Canto IX”);
Denunciare gli scandalosi rapporti di potere e privilegio che pervadono l’attuale “establishment” della poesia, che riproducono in toto – sul modello del complesso militar-industriale, si direbbe – quelli esistenti negli ambienti accademici (viz. “Lucus Feroniae parte seconda, Canto IV”);
Sottrarre, se tutto va bene, all’oblio la musica di uno dei grandi compositori dei nostri tempi (viz. “Lucus Feroniae parte seconda, Canto V”);
Pubblicizzare e popolarizzare una straordinaria nuova teoria basata su recenti analisi statistiche di dati fino a poco fa non disponibili, che sta emergendo da Cambridge e Parigi e il cui principale esponente è lo storico/demografo Emmanuel Todd, la quale mette effettivamente a tacere ogni sorta di annosa convinzione errata circa la natura e le cause degli sviluppi storici, fornendone un’affascinante spiegazione alternativa “prove in mano” (viz. “Lucus Feroniae parte seconda, Canto VI”);
E, dulcis in fundo, aver gettato le basi di una sintesi auto-ampliante (nel senso rortyiano del temine) tra filosofia e poesia (viz. “Lucus Feroniae parte seconda, Canto III”).