Nail Chiodo

Introduzione all’edizione romena

Traduzione dall’originale inglese di Valentina Palombi.

L’introduzione di Liviu Pendefunda alla sua traduzione in romeno di “In the Instant’s Guise - Selected Poems 1978-2012” (in stampa)

LA SPUDORATA ERMENEUTICA DELLA LUCE

di Liviu Pendefunda

Un istante può avere forma e sostanza, corpo e anima, allo stesso modo dello spirito nella sua essenza. Il tempo si presenta camuffato, celato da una maschera che esprime l’attitudine, il carattere, del passato, del futuro e, soprattutto, delle condizioni presenti – tutte immagini dell’istante stesso. L’interpretazione di una tale sembianza – così come quella della poesia, della parola primeva che la luce rivela – è molto simile alla fatica di Sisifo, poiché il poeta è condannato a non completare mai la sua visione.

Nail Chiodo è nato nel 1952 a Padova, Italia, da genitori biologi che poco dopo si trasferirono negli Stati Uniti. Ha vissuto intermittentemente in America per più di un quarto di secolo, dalla prima infanzia all’età di trentasei anni e trascorso lunghi periodi a Parigi, durante i primi anni di scuola e più tardi da universitario. Nel 1974, ha conseguito il BA in filosofia presso l’Università di Yale e, nel 1977, ha intrapreso la realizzazione di un film, The Insignificant Other, completato solo nel 2000, contro ogni aspettativa. A partire dal 1978, tuttavia, si è dedicato prevalentemente alla scrittura poetica in inglese. Attualmente vive nella campagna romana, dove dirige Lyrical Translations, un progetto di traduzione professionale multilingue di poesia.

Chiodo si muove nel regno delle parole con straordinaria disinvoltura, grazie a una memoria prodigiosa e a una grande destrezza linguistica. Per descriverlo, si potrebbe dire che si presenta come l’incarnazione di un profondo paradosso: la sua indole letteraria, ricca e sregolata nella sua originalità, si scontra – nella profondità del suo essere ma anche ai suoi confini raziocinanti – con una sorta di senso di responsabilità, che produce un fervore contenuto, non disgiunto da un certo zelo pedantesco. Il suo tocco personale, immediatamente percepibile nei testi poetici, nasce così dal contrasto tra sentimento e pensiero, riflessione e affezione, dalla corrispondenza delle differenti, e in parte contrarie culture, che hanno presieduto alla sua formazione intellettuale.

Nella sua prima raccolta di poesie, Calliope Teething, la critica letteraria ha scorto un’insieme di influenze ritenute inerenti alla sua personale immaginazione. In essa risuona innanzi tutto un’eco manierista, evidente soprattutto nel misurato abuso dell’ossimoro, attraverso il motivo del labirinto o quello cosmogonico: la storia dell’artista determinato a condurre a termine il proprio lavoro malgrado la sua natura sisifea. Egli inoltre offre, nel tentativo di uguagliare la Creazione stessa, una singolare e plausibile spiegazione della particolare natura della condanna ultraterrena di Sisifo e un resoconto morale dei qui pro quo degli anni sessanta e settanta negli Stati Uniti che Rick Perlstein, uno dei più autorevoli storici americani, ha descritto come “ricco di intuizioni affascinanti e di indovinate espressioni” (The Penitentiary). La verve smitizzante del poeta, la sua risoluta capacità di confutare i modelli accettati, di dissacrarli, è ben evidente anche nella poesia Noncense. In un certo senso, questo componimento prefigura il suo ultimo e più lungo testo dedicato al bosco di Feronia. Il poeta cita Blaise Pascal (“Nei tempi di afflizione la conoscenza della scienza naturale non mi consolerà dell’ignoranza della morale, ma la conoscenza della morale mi consolerà sempre dell’ignoranza della scienza naturale”), abbracciando, al tempo stesso, la dottrina di Ludwig Wittgenstein. Egli cerca di fare ciò che Wittgenstein diceva gli sarebbe piaciuto fare, ossia scrivere di filosofia in forma lirica. Non si può non ammirare la preveggenza dei versi che annunciano con nove anni di anticipo il conferimento del Premio Nobel per la letteratura a Seamus Heaney, ed apprezzare il richiamo a Giorgio Colli – uno dei più insigni filosofi italiani, nonché curatore della prima edizione completa delle opere di Nietzsche e di una preziosa raccolta dei frammenti dei filosofi presocratici, praticamente sconosciuto al pubblico di lingua inglese.

In What the Whale Said, Chiodo suggerisce che i grattacieli di Manhattan potrebbero fare la stessa fine dei templi dell’antica Roma – indicandone le possibili ragioni all’incirca tredici anni prima del fatidico 11 settembre (in sintonia con i bassorilievi delle colonne della cattedrale di St. John the Divine nella Grande Mela).

Riconsiderando brevemente l’evoluzione del motivo dell’Eros nella letteratura occidentale, si potrebbe dire che esso sia stato percepito in senso lirico, secondo due ipostasi opposte. Dapprima si ha la poesia erotica o erotizzante trovatorica, quel genere di poesia che si alimenta dell’essenza stessa del sentimento, che ritrae il poeta amante in atteggiamenti rituali di adorazione e sottomissione, conferendo all’emozione toni di fervida effusione. Col tempo, si è registrata una reazione contro questa immagine tradizionale dell’Eros: i poeti dell’età moderna hanno scatenato ai suoi danni un’offensiva di riscrittura, volgendo in parodia l’approccio cavalleresco. Così, il sentimento erotico invece di evolversi in logorati termini superlativi è stato integrato in un nuovo codice assiologico. I sentimenti hanno trovato una controparte, non c’è dubbio, nell’intelletto che limita l’effusione e nella loro razionalizzazione e, di conseguenza, sono stati guardati con reticenza dall’occhio critico del poeta. L’amore è stato espresso non in un registro grave e solenne ma in modo più immaginativo e ironico – i richiami implicitamente parodistici o il controllato umorismo hanno dato forma a un discorso poetico lucido e dolce-amaro. In Loud in War, ad esempio, questa deritualizzazione del sentimento e dell’amore sessuale si coglie nell’uso di un linguaggio schiettamente non romantico, in cui le parole sono brutalmente concrete e la loro provenienza da diverse aree semantiche finisce col produrre un effetto ironico e parodistico. Ciò è evidente, ad esempio, nel protagonista, Lud, nei versi cioè che lo descrivono, che hanno un sapore lessicale durevole, amplificato anche dagli innesti intertestuali che suggeriscono che la nostra vita sulla terra non è altro che un lungo incontro di texting. L’amore, dal punto di vista del poeta contemporaneo, è una commedia di parole più che un nudo sentimento, un effetto alone parodistico del linguaggio più che uno stato mentale dotato di precisi contorni psicologici. Lo stesso vale per i trapianti di parole arcaiche e gergali che conferiscono bellezza e plasticità a questo linguaggio prosaico (il linguaggio colloquiale proprio delle strade americane combinato a entità gnoseologiche mutuate da altre lingue, soprattutto dal latino e dal francese).

I canti di questo poema epico eroicomico evocano in tinte e tonalità spettacolari soprattutto l’arena di New York, un spazio che incorpora la pura magia del passato e la tentazione di luoghi remoti, e dove lo stato d’animo predominante è quello di un’indolente adesione al corso levigato delle cose, venata da soavi tracce del più atroce terrore. In un brano del poema, Chiodo immagina un intero mondo – multicolore, smembrato e affascinante – come proiezione diretta in una dimensione onirica che ricorda i fotogrammi di un’oscillazione perpetua tra apparenza ed essenza, tra realtà concreta e ingannevole illusione dello stratagemma poetico.

Talvolta, il poeta evoca tempi e suoni perduti nel tempo e impiega forme lessicali arcaiche per introdurre il lettore nel mondo favoloso del passato, un mondo dai contorni fluidi e dalla meccanica metabolicamente instabile, privo di una struttura omogenea, sfaccettato ed esorbitante per ritmo e natura. In effetti, questa “megapoesia” istituisce un’opposizione articolata tra passato e presente, tra i mondi reali, incoercibilmente concreti, e i quelli dell’immaginazione, in cui le cose sono ambigue, alterate, e cambiano costantemente di peso come per un gioco di prestigio dell’imponderabile. Nail Chiodo scrive la sua stessa epica, abitata dai suoi personaggi. Fondamentalmente, siamo in presenza di un “quanto” dell’ossessione postmodernista per il passato, sia storico sia letterario, per la moda “retrò” che ci aiuta a recuperare, con impareggiabile istinto ludico, il ciarpame degli antichi meccanismi della letteratura. La fantasia, il virtuosismo e la frenesia di cui Chiodo fa uso per demolire i vecchi espedienti della letteratura sono praticamente inesauribili. Il mondo reale e la sua parafrasi narrativa si intersecano in un turbine di ipostasi e accenti carnevaleschi. La sua destrezza stilistica è sorprendente, come, del resto, il suo impeccabile impiego di diversi registri linguistici. L’immagine dell’autore posta di fronte al mondo fittizio che lui stesso ha immaginato, insieme agli inserti libreschi, allo scambio tennistico privo di soluzioni di continuità tra testo, intertesto e metatesto, fanno di Loud in War un poema dove comicità e parodia, pastiche ed ironia s’incontrano per dar forma a una commedia della letteratura rielaborata in chiave postmoderna. I canti tentano di rispondere a questioni quali la ragione della permanenza e della continuità dell’Universo, di elucidare matematicamente perché il numero 7 sia magico (Canto X), di spiegare la teoria dei quanti (Canto XII) e le implicazioni delle tecniche di clonazione degli esseri umani (Canto XIII), il tutto iscritto in un gioco che si svolge fuori dal tempo.

In altre parole, le istintive capacità parodistiche del nostro poeta si esercitano contro una certa tettonica dell’immaginazione classica, la fissità e la stabilità monolitica delle immagini, il convenzionalismo delle tecniche e non contro l’impiego sovversivo di metodi poetici più personali. Per rendere il reale meno reale, per dotarlo di nuove forme e dimensioni, più idonee alla sua incredibile fenomenologia, egli privilegia l’eterogeneità e l’impulso ironico rispetto alla chiarezza e all’armonia classiche. Il poeta sottopone il linguaggio poetico e il mondo che esso evoca a una vera e propria desacralizzazione. Si dia una scorsa, ad esempio, alle ventidue cose che, secondo Chiodo, la sua poesia ha fatto, in alcuni casi già menzionate. Si arriva così alla scoperta del dato econometrico riportato all’inizio di Lucus Feroniae, destinato non a mettere in soggezione il lettore ma a renderlo consapevole dei pericoli che incombono sul futuro, e su solide basi antropologiche: Chiodo cita un’interessantissima affermazione fatta da Claude Lévi-Strauss verso la fine della sua lunga vita. Dopo aver studiato i più svariati tipi di comunità umane, dalla più “primitiva” alla più “avanzata”, il grande antropologo dichiarò di poter trarre una sola conclusione, quella che “nessuna comunità umana può arrivare a contare più di cinquecento membri senza, in un modo o nell’altro, spaccarsi in due”. Ma in questi versi trovano spazio anche altre importanti questioni teoriche, come, ad esempio quelle di una revisione della storia e del significato del pragmatismo (Canto V); l’autore presenta inoltre un originale approccio kerigmatico/agnostico al cristianesimo (Cantos VII - VIII) e un’analisi degli scandalosi rapporti di potere e privilegio che attualmente pervadono il mondo della poesia accademica sul modello del complesso militare-industriale (Lucus Feroniae, Part II, Canto IV). I temi che situano l’opera di Nail Chiodo nell’ambito del postmodernismo sono evidenti. La tensione ludica e la parodia, la distinzione tra registri culturali alti e bassi, l’affascinante interposizione di stili e tradizioni del passato, le narrative che mettono in questione i concetti convenzionali di legge, religione, soggettività, visione, così come il simulacro spazio-tempo, l’equanime critica di sistemi sociali differenti e il disorientamento dei personaggi nel contesto della società contemporanea e futura. Ancora una volta, l’autore postmoderno tratta problemi di cruciale importanza – la Seconda guerra mondiale, la Guerra fredda, le teorie della cospirazione considerate da una posizione distante e meno “connessa”, scegliendo di descriverli in tono ironico e umoristico.

L’intertestualità, ossia l’apertura a intrusioni di altre opere letterarie piene di nozioni scientifiche, di commenti sullo stato della società, alla metafinzione, è un importante elemento del postmodernismo. È una tecnica che permette il prodursi di scabrosi scambi all’interno della stessa narrativa, altrimenti impossibili in un medesimo quadro temporale, che sia storico o autobiografico, distorsioni temporali che tradiscono l’identità di Chiodo come cineasta. La logica culturale del tardo capitalismo guida i suoi personaggi all’interno di uno spazio dominato dalla paranoia, demolendo alcuni di loro, lacerati tra realtà e finzione, in un modo che ricorda quel realismo magico che affonda le sue radici nell’opera di Jorge Luis Borges o di Gabriel García Márquez. I suoi componimenti più lunghi, pervasi da un affascinante lirismo interiore, presentano uno svolgimento narrativo complesso che, pur apparendo frazionato in stadi creativi ben definiti e in parti diverse, forma una costruzione unitaria, una grande epica del mondo, della civiltà umana nel suo insieme, con le sue sofferenze, le sue gioie, le sue delusioni e le sue vittorie. L’esaltazione dei valori culturali dell’antichità e la riaffermazione dei grandi artisti visivi e dei grandi compositori dei nostri giorni sono temi ricorrenti nelle sue poesie (Lucus Feroniae, Part II, Canto V). Ovvia nell’opera cinematografica, la sua posizione squisitamente postmoderna non è meno evidente nelle poesie: in uno slancio iconoclastico, l’autore si fa portavoce di un certo periodo storico, confutando lo status umano così come viene presentato dalla teoria letteraria radicale e pone le basi di una sintesi (di tipo “rortyano”) tra filosofia e poesia (Lucus Feroniae, Part II, Canto III) che riduce la distanza estetica tra i due termini, evitando metafore ed altre figure retoriche costrittive e impiegando un linguaggio composito, a un tempo elitario e demotico.

Spesso la poesia di Chiodo tratta temi pervasi di inquietudine ed è scritta in versi liberi. Le pause e la struttura potrebbero sembrare arbitrari o privi di significato di tanto in tanto, anche se vi sono sempre delle ragioni per le sbalorditive spiegazioni su cui si fondano le idee insolite. Benché queste idee, spesso spiegate in versi precedenti, siano contraddistinte da un particolare uso dei segni di interpunzione e separatamente organizzate, il postmodernismo poetico fa ricorso anche alle pause per indicare il carattere caotico del nostro mondo. La forma stessa delle poesie evidenzia l’idea di forma priva di significato. Questo genere di poesia potrebbe voler suggerire che la vita non ha alcun senso, inducendo il lettore a spingersi oltre la sua zona di comfort per considerare l’esistenza della vita in una nuova luce.

Lo svolgimento narrativo in questo genere di poesia è riducibile a un certo flusso che accompagna i pensieri o le parole di chi parla. Nell’opera di Chiodo si troverà un approccio a temi esistenzialisti e nichilisti. Benché “esistenzialismo” e “postmodernismo” non siano sinonimi, nella pratica i due termini sono frequentemente associati. In questo senso, le evocazioni della missione e del fato del poeta (Lucus Feroniae, Canto VII) e della visione divina (Canto VIII) appaiono memorabili.

Chiodo non è un poeta facilmente traducibile. Il suo linguaggio erudito da poliglotta combina parole e significati, costringendo il lettore a mettere a fuoco il quadro nella sua interezza prima di mettersi a spaccare il capello e ad analizzare il significato delle idee in tutte le loro sfumature. La traduzione in rumeno, basata su un’analisi comparativa dell’originale inglese e della versione italiana, è un ibrido che facilita la libera interpretazione del testo.

Il corpus delle opere di questo grande poeta e uomo di lettere – e, come non dirlo: di questo caro amico, – è fatta di narrative fotografiche. I suoi istanti o istantanee, tuttavia, non hanno tempo né spazio ma inghiottono entrambi per far scorrere a velocità più o meno alta la vicenda cinematografica. Quest’ultima non è altro che la matrice stessa in cui il poeta ha versato la sua fantasia, il suo genio, un’allegoria di elementi che, in quanto spirito incarnato, conferisce forma e sostanza lirica a componimenti poetici unici nel panorama della letteratura mondiale. Il fatto di essere scritte in inglese rende comprensibili queste perle in tutto il mondo ma la loro traduzione in italiano e in rumeno conferisce loro un tono barocco. Dalla prima all’ultima, esse rilevano un’evoluzione costante in termini di versificazione e di idee, tracciando la crescita senza pari e l’originalità della personalità del loro autore.

Dal punto di vista stilistico, i versi si collocano sotto il segno del modernismo – insieme a quelli di E.E. Cummings, R. Kipling, T. S. Eliot e W. B. Yeats. Le forme di Nail Chiodo, infatti, sono molto vicine a quelle di Ezra Pound e Sylvia Plath. Una delle più evidenti caratteristiche del modernismo è l’esplicita adozione di una posizione che rifiuta chiaramente la cornice realista e usa i valori del passato attraverso la ripetizione, l’incorporazione, la riscrittura, la revisione e il ridicolo. La sua poesia copre interamente la superficie degli specchi che i poeti sono soliti scrutare, saggiando le novità del giorno e valutandole sullo sfondo delle esperienze ancora in corso che l’umanità accumula sin dall’antichità.

L’erudizione di Chiodo, il suo sterminato sapere enciclopedico – prova di una capacità di accumulazione degna di una vera e propria biblioteca mentale – emerge prepotentemente, senza, tuttavia, annoiare il lettore, aiutato a ricostruire la storia dell’arte, della politica e della società o sfidato a consultare i dizionari o l’Internet dalle numerose note a piè di pagina. Le conseguenti rivelazioni, queste forme viventi dell’istante governano il mondo di Nail Chiodo, fissano la mente e l’anima del lettore alla croce del mondo, chiodo dopo chiodo.